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Matsuo Bashô, lo haiku e Yamagata

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松尾芭蕉

Cultura editoriale in Giappone

La tecnica della stampa fu introdotta in Giappone dalla Cina, dove fu inventata. E’ giunto fino a noi un sutra buddhista stampato nella seconda metà dell’ottavo secolo: si chiama hyakumantô darani ed è considerato il testo stampato più antico esistente al mondo.

La carta giapponese (washi) è prodotta principalmente dalla corteccia di kôzo (Broussonetia kazinoki, detto anche gelso da carta): di questo tipo di carta sono fatte anche le attuali banconote giapponesi. La carta washi ha fibre lunghe ed è molto resistente: è stato provato che, se adeguatamente conservata, può perdurare in uno stato utilizzabile per oltre mille anni.

La tecnica della stampa esisteva già nell’ottavo secolo, ma si stampavano quasi esclusivamente sutra o testi comunque legati al buddhismo, per i quali la domanda era molto alta. Gli editori cominciarono a produrre pubblicazioni a scopo commerciale a partire dal periodo Edo (1603-1868), quando i commercianti, gli artigiani e i contadini avevano ormai un potere economico e il tasso di alfabetizzazione era cresciuto notevolmente.

Alla fine del 16mo secolo, poco prima dell’inizio del periodo Edo, arrivò in
Giappone dalla Corea e dall’Europa la tecnica di stampa tipografica. La stampa
tipografica esisteva anche in Cina, dove si usavano principalmente caratteri in
legno; invece nella Corea della dinastia Joseon, dal 15mo secolo si era sviluppata
la stampa con caratteri di rame.

Alla fine del 16mo secolo, l’Ambasciata Tenshô, inviata dai daimyô (signori feudali) cristiani della grande isola giapponese di Kyushû, visitò l’Italia e incontrò il papa; gli ambasciatori riportarono in Giappone un esemplare di torchio da stampa di Gutenberg. Con questa macchina da stampa, a Nagasaki furono stampate le favole di Esopo in caratteri latini e libri relativi al cristianesimo. Questi testi vengono
indicati con il nome di “pubblicazioni cristiane” (kirishitan ban).

Per la stampa tipografica, in Giappone non si utilizzarono i caratteri di rame, ma quelli di legno. La stampa tipografica poteva andare bene per riprodurre gli ideogrammi in stampatello, ma non era adatta per l’alfabeto sillabico giapponese hiragana, più usato per la maggior parte dei testi, e nemmeno per lo stile corsivo. Anche per questo motivo la stampa tipografica fu usata solo all’inizio del periodo Edo, dopodiché scomparve. In seguito si fece uso quasi sempre della stampa xilografica, con tavole di legno incise di grandezza equivalente a due pagine aperte (icchô).

Il lavoro di stampa era diviso in due parti, con gli artigiani specializzati
nell’incisione delle tavole di legno (horishi) e quelli che stampavano le tavole incise
(surishi). Con la crescita dell’attività editoriale nel periodo Edo, il livello tecnico
degli artigiani divenne sempre più alto.

La xilografia è una stampa a rilievo: si lasciano in rilievo le linee che compongono
un ideogramma o un segno alfabetico, o che fanno parte di un disegno,
asportando la parte restante del legno. Visto che sia le lettere che il disegno sono
composti da linee, e quindi la tecnica di incisione non cambia, divenne possibile
abbinare testi scritti e disegni su un’unica tavola, anche in maniera complessa. Per
questo motivo conobbe un grande sviluppo la pubblicazione di romanzi illustrati,
che riportavano la storia e i dialoghi nei margini e negli spazi non occupati dai disegni.

Le stampe ukiyo-e policrome apparse nella seconda metà del 18mo secolo testimoniano l’altissimo livello tecnico raggiunto da incisori e stampatori. I disegnatori (eshi) preparavano il disegno e davano indicazioni sui colori da usare: il resto del lavoro era lasciato a incisori e stampatori.

Per creare una stampa ukiyo-e policroma bisognava preparare una tavola incisa per ogni colore e stampare un colore alla volta. Gli incisori dovevano avere una perizia tecnica tale da riuscire a incidere le sottili linee del disegno e fare in modo che ogni tavola, in fase di stampa, si sovrapponesse perfettamente a un’altra. Da parte loro gli stampatori dovevano essere in grado di produrre, mischiando vari pigmenti, i colori indicati dal disegnatore; era inoltre richiesta una grande precisione affinché le diverse tavole inchiostrate riproducessero le immagini sui fogli di carta senza sovrapposizioni o sbavature.

Al giorno d’oggi quando si parla delle stampe ukiyo-e, si parla solo degli eshi, i disegnatori: non possiamo comunque dimenticare il grande lavoro e la tecnica sopraffina degli incisori e degli stampatori, benché di molti di essi non si conosca neppure il nome.

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